1) La forza di intimidazione del vincolo associativo

… In altri termini, la forza di intimidazione del vincolo è requisito normativo che definisce una condizione oggettiva di concreta acquisizione da parte della compagine criminale di una sufficiente fama o notorietà di violenza e capacità di sopraffazione, idonea a incutere, anche ove non tradotta nell’esteriorizzazione di atti violenza, timore nei confronti di chiunque finisca per doversi rapportare a essa. L’associazione, dunque, deve avere acquisito una carica intimidatoria autonoma, indipendente dall’effettiva consumazione di specifici episodi di violenza o sopraffazione, ben nota nel tessuto sociale e territoriale in cui essa opera. In tale prospettiva, si è rilevato come, con le espressioni contenute nell’art. 416 bis, co. 3, c.p., «il legislatore abbia inteso riferirsi alla maggiore o minore capacità, propria di certe associazioni criminali, di incutere timore di per se stesse, sino ad estendere intorno a sé … un alone permanente di intimidazione diffusa, tale da mantenersi vivo anche a prescindere dai singoli atti intimidatori concreti posti in essere da questo o quell’associato … poiché ciò che conta è che … l’elemento della “forza intimidatrice” sia comunque desumibile aliunde da circostanze atte a dimostrare la capacità di incutere timore propria dell’associazione in quanto tale: una capacità ricollegabile alla “pubblica memoria” della sua pregressa attività sopraffattrice» (cfr. Turone, G., Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2008, 117 s.; Hess, H., Mafia, Bari, 1973, 78) …

2) La condizione di assoggettamento

Come si è già accennato, effetto necessario della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo deve essere quello di produrre un significativo condizionamento nei confronti del tessuto sociale in cui il sodalizio opera. Il concetto normativo di assoggettamento concerne la rilevanza che l’entità associativa riveste al suo esterno ingenerando, in funzione della sua esistenza e pericolosità, «un comune sentire caratterizzato da soggezione di fronte alla forza prevaricatrice ed intimidatrice del gruppo» (cfr. Cass. pen., sez. I, 18.4.2012, n. 35627). Lo sfruttamento della carica intimidatrice del sodalizio deve rivelarsi, quindi, idoneo a influenzare in modo consistente e non occasionale la generalità dei consociati, cagionando sul territorio in cui tale sodalizio opera una situazione di sudditanza psicologica così rilevante da precludere un ordinario svolgersi delle comuni attività produttive, commerciali, imprenditoriali, economiche, politiche, ecc. (v. Cass. pen., sez. I, 23.4.2010, n. 29924). Non è, invero, sufficiente ai fini della configurabilità di un’associazione criminosa di cui all’art. 416 bis c.p. evocare il compimento di eventuali atti di violenza o sopraffazione, risultando indispensabile, perché la forza di intimidazione possa dirsi effettivamente esistente, che essa produca un dato fattuale concretamente realizzatosi, consistente nel requisito normativo della condizione di assoggettamento.

3) L’omertà

Conseguenziale alla carica intimidatoria e al correlato condizionamento dell’ambiente esterno è l’omertà. Proprio lo sfruttamento della forza intimidatrice produce quale necessaria conseguenza esterna le condizioni specifiche di assoggettamento e di omertà funzionali alla realizzazione degli scopi propri del sodalizio. L’omertà, come concetto normativo, finisce per consistere in una piena accettazione delle regole di soggezione e non collaborazione, così capillarmente diffuso da non riguardare il singolo, bensì il tessuto sociale in cui l’organizzazione sia riuscita a infiltrarsi. In termini strettamente giuridici il significato di omertà può essere definito come un vero e proprio rifiuto a collaborare con gli organi dello Stato, scaturente dal timore (rectius, paura) nei confronti della consorteria criminale. Come si è opportunamente affermato, «è necessario che tale rifiuto non sia dettato da motivi contingenti, non abbia un carattere episodico ed occasionale (altrimenti sarebbe omertà qualsiasi comportamento reticente), non trovi una sua spiegazione esauriente sul piano processuale (altrimenti sarebbe omertoso qualsiasi imputato che mentisse per difendersi), non sia dovuto ad un interesse personale (altrimenti sarebbe omertoso chiunque mirasse a tener nascosta una circostanza per ragioni che gli sono proprie) e non possa quindi che ricollegarsi all’essenza stessa del vincolo associativo mafioso e alla naturale potenzialità intimidatrice che da esso promana» (così, Turone, G., Il delitto di associazione mafiosa, cit., 153 s.; in termini analoghi, v. Spagnolo,G., L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1997, 43 ss.; in giurisprudenza, cfr. Cass. pen., sez. VI, 10.6.1989, Teardo).

 

Tratto da: Associazione di tipo mafioso (Diritto on line) di Elvira Dinacci


 


 

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